la inizio, la smetto & la racconto (la dieta)
La dieta
Venerdì - Mi sembra quasi di
poterlo addentare, quel supplì dorato e gonfio di riso fumante. Sento i chicchi
al dente sciogliersi e mescolarsi al sapore familiare del parmigiano, e il fumo
caldo
uscire voluttuoso dalle narici. Al centro, trionfa un capolavoro di ragù
rosso-arancio dal quale
si intravede un pezzettino di sedano circondato da tre piselli verde mela.
immagine presa da Internet |
Ma NON posso: sono a dieta. Ho
iniziato mercoledì, còlta da un delirio di onnipotenza: tornare a indossare l’abitino
di prima della gravidanza. Precisamente la terza. È tutta colpa di Erik: non avrebbe dovuto.
Non avrebbe dovuto tirar fuori dall’armadio quello stupendo pezzo di seta rubina ed esclamare
“Carino!”. Ora ho raggiunto le 40 primavere e sento di dover (voler!) tentare. Ne vale la
pena: potrei indossare di nuovo quell’oggetto del desiderio, simbolo di una gioventù lontana non in termini di anni, ma…
di adipe. Forse mi sentirò di nuovo snella, scattante
e bella.
Francesca continua ad assaporare il
supplì grugnendo di piacere. Il più buono
ch’io abbia mai mangiato! — miagola, socchiudendo
gli occhi. Faccio l’indifferente e conto le calorie che mi rimangono fino a ora di
cena. Ancora cinquecento, poi andrò finalmente a letto – Morfeo è una liberazione per chi si
priva di vivande appetitose fatte di sapori, odori e colori intensi.
Continuiamo la nostra passeggiata
attraverso i variopinti stand della Fiera del Gusto. Sono nella città che ha
visto nascere il mio amore. I più bei caffè d’Europa, cioccolato, agnolotti,
grissini e automobili. Non si può vivere qui e stare a dieta. No.
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Ecco lo stand del formaggio.
Decido di rimanere a una distanza di sicurezza e togliermi gli occhiali, ma constato amareggiata che il senso più
sollecitato non sarà la vista, bensì l’olfatto: come impedire a quegli odori stuzzicanti di infilarsi nelle narici e
raggiungere il cervello, tramutandosi
in immediata frustrazione? Mi chiedo perché ho accettato di accompagnare Francesca a quest’evento, ma è un quesito che ha
il sapore insignificante delle domande retoriche.
Intravedo una modella bionda che
tiene in mano un vassoio con sei tipi di formaggio diversi. Sono certa che
anche lei è a dieta, e l’idea che soffra mi conforta per una frazione di
secondo – ma
chissà… forse non le piace il formaggio
Fotografo con attenzione le
leccornie in bella mostra:
una gruviera dai buchi irregolari, un riconoscibilissimo sbrinz, tre formaggi
molli e umidi
e, ciliegina sulla torta, uno spicchio di peccato giallo-arancio a pasta dura
che mi ricorda un
noto formaggio olandese. Il tutto incorniciato da una foglia di lattuga
freschissima, croccante
e – almeno lei – consentita dal mio regime dietetico-dittatoriale.
Il sole tramonta e inizia a stendere
un velo arancione sulle vivande mentre la gente, paga di sapori, odori e
piaceri, si avvia verso l’uscita. Sono soddisfatta: ho appagato l’ego – che
brava, ho
resistito! – punendo il palato. La sera faccio fatica ad addormentarmi e mi
rigiro nel letto un migliaio
di volte: i miei pensieri sono abitati da piatti succulenti e scandalosamente
proibiti.
Mi rimangono ancora ben quattro
settimane fino al sospirato traguardo: la taglia giusta, il fisico tanto agognato – forse
una nuova vita... e magari uno sguardo di approvazione della dietologa, Madame
Gaillard.
Poco probabile, visto che aspira a
farmi rientrare nei jeans della terza liceo.
Sabato - mi siedo a tavola
per fare colazione. Come sempre, ho apparecchiato la sera precedente: tazze
candide, tovagliette all’americana, pane fragrante già affettato e pronto ad accogliere generose
cucchiaiate di burro e marmellata. Ma in mezzo al tavolo trionfa l’oggetto assoluto del
desiderio: un barattolo di soffice cioccolata, star incontrastata di colazioni
e merende
storiche. La tentazione suprema, un concentrato di calorie bandito dai 35 in su
– ergo: dal
secondo pargolo in poi.
Mille merende si riaffacciano alla
mente – erano tempi, non ancora sospetti, di metabolismo solerte. E
adesso, che cosa mi succede? Quei settemila grammi accumulati durante la
gravidanza del mio ultimo gioiello non se ne vogliono più andare. Sono lì – anzi qui! - uniformemente
distribuiti come un air-bag futurista che mi avvolge
teneramente le membra: zero spigoli, zero attrito. I comodi cuscinetti mi fanno
sentire a-gravitazionale e, a dire il vero, mi ci sono quasi
affezionata.
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Mio marito se ne infischia, per cui è inutile arrovellarsi su
quella sua maldestra esclamazione: a lui non importa un fico secco se l’abitino color rubino è due taglie
al di sotto della mia. Però, e questo particolare è stato decisivo, le sue parole erano condite da
uno sguardo vagamente libidinoso – sì, avevo
visto un fulgore nuovo nei suoi occhi, in genere bovini e inespressivi.
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Passo metà mattinata e buona parte
del pomeriggio a lavorare, sempre pensando alle pause cibo consentite: lo spuntino delle quattro e
la cena delle otto. Alle due in punto guardo l’orologio,
fantasticando che la lancetta più corta si trovi già sul fatidico “quattro”.
Poi mi autoconvinco che, in fin dei conti, fare merenda un’ora prima va bene lo
stesso, quindi rimetto la sveglia,
che alle tre in punto trilla imperiosa. Al suono di quell’oggetto panciuto e
metallico sento l’acquolina inondarmi
l’intera cavità orale.
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I bambini fanno svogliatamente i
compiti, poi cercano di estorcermi il permesso di giocare a: videogiochi, computer,
guardie e ladri, mosca cieca. Il tutto, ovviamente, in sala - fuori piove a
catinelle. Dopo un quarto d’ora di estenuanti trattative decidiamo di fare una
partita a rubamazzo, giusto per far partecipare anche la sorellina che ha già
deciso per tutti sbattendo le carte sul tavolo. Mentre giochiamo, i bimbi mangiano
tre caramelle, due cioccolatini ripieni (ciliegia del Piemonte?) e una manciata delle mie
mentine preferite.
Domenica – andiamo a trovare
gli zii di campagna.
Zio Valentino è abbronzato,
ammiccante e scherzoso.
Zia Adalgisa, affaccendata in mille attività, svolazza giuliva intorno agli
ospiti. Anche
lei, come mia madre, non ha problemi di linea. La silhouette prepubere “zero
curve” è stata per loro una
tortura fino agli anta, dopodiché – complice l’età e le mode – le scaltre sorelle hanno sapientemente rigirato la frittata
vantando la loro appartenenza alla categoria delle magro-piatte.
Certo, preferisco essere
tondo-formosa invece che magro-piatta. Però, diciamo che l’ideale sarebbe essere
giusto-snella (come lo 0,97% delle pluripare over 40).
Tra una portata e l’altra, anche il
supplizio del pranzo giunge al termine. Ho mangiato: 15 g di lasagne integrali
scondite, 30 g di vitello pseudo-rosolato, 2 ciotolone di insalata. Prendo addirittura il caffè –
amaro come la vita. Durante il pranzo evito di guardare i piatti dei miei spensierati commensali;
tuttavia, un inopportuno schizzo di pomodoro sulla camicia rosa dello zio
attira la mia
attenzione. Dal colore si evincono gli ingredienti del soffritto: sedano,
cipolla e carote novelle
- tutti ben intrisi di sublime olio di oliva.
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Il mio sguardo si sofferma su quello
schizzo come
se fosse un capolavoro del Caravaggio.
Per autocensurarmi cerco di
visualizzare la dieta come se fosse un’immagine mistica: una stanza vuota dove non
esistono sapori né odori, con al centro una Vergine diafana, illuminata da una luce fredda e
irreale. Oppure una montagna altissima, purissima, durissima: io sono a metà della salita, la
vetta è ancora lontana e le tentazioni diabolicamente vicine (e insidiose).
Tornata a casa, per distrarmi
accendo la TV: c’è la pubblicità di un formaggio cremoso che da bambina spalmavo
copiosamente sul pane. Le mie papille, al culmine della malinconia, si nutrono di ricordi.
Poi succede l’imprevedibile. Decido
di lasciar perdere tutto. Sì: e se lasciassi perdere tutto, se mandassi
al diavolo la dieta e dessi l’intero guardaroba in beneficienza, facendo
felici chissà quante persone? Potrei trasformare lo slancio ascetico che mi spinge a rinunciare
al cibo in un atto di filantropismo... L’idea mi entusiasma, però – però: che diranno mio
marito, le mie amiche, i familiari, i vicini e tutti coloro cui ho incautamente
comunicato
che sono a dieta?
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Come sempre, nei momenti di
smarrimento sfoglio il mio personalissimo oracolo: il dizionario. Libertà: situazione che comporta assenza di
costrizioni o limitazioni. Mi piace, mi sta a pennello. Devo liberarmi dalle
catene e i suoi numerosi anelli: la donna oggetto, la donna perfetta, la femme enfant, i diktat della
società post-capitalista...
Come un automa mi dirigo verso la cucina invasa da foglie
di lattuga, prendo un grande sacco
antracite, di quelli da cinquanta litri che utilizzo normalmente per la spazzatura, apro l’armadio che sa di lavanda e
inizio a infilare gli indumenti nell’orrido bustone. Mi dico che potrei giocare a lotto il 35 (l’età
in cui ho acquistato l’abitino color rubino), il 3 (il numero della gravidanza incriminata), il 4 (l’età
di mia figlia, principale responsabile della mia pinguedine).
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Mentre svolgo questa attività
catartica mi sento leggera, lieve, vaporosa. Incredibile: non sento più la fame,
non ho più fame! Il mio corpo si è affrancato dalla schiavitù dell’appetito? Non lo
so e non mi interessa. Decido di essere me stessa: rotonda, paffuta, anzi: vagamente grassa. Ho
appena buttato via quella che ero prima per diventare quella che sono ora.
La catena si sta spezzando! Sì.
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Improvvisamente, la sveglia si mette
a squillare – ansiogena e allarmante come una sirena spiegata. Sono le
quattro: è l’ora della merenda.
Apro faticosamente gli occhi: la
televisione è ancora
accesa e stanno trasmettendo un programma di cucina. Un grosso sacco dell’immondizia è
poggiato sul pavimento, e dal nodo della busta si intravede un lembo di seta rubina. Lo guardo con soddisfazione, poi
apro la credenza e preparo la merenda. Bon appétit!
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