come si diventa insegnante di italiano in Francia - intervista a Viviana





Oggi ho l'onore di avere un'ospite eccezionale che ci parlerà di un argomento molto gettonato tra noi expat: Viviana* ci racconta l'iter da lei seguito per diventare insegnante di italiano in Francia! Di ruolo, badate bene. Un vero e proprio "parcours du combattant", come vedremo. Non solo: Viviana esprime anche un giudizio schietto e illuminante sulla scuola francese.  
Ecco la sua testimonianza:

Ciao Viviana, tu sei arrivata in Francia e hai subito iniziato a insegnare, se non erro come lettrice di italiano all’Università. Puoi dirci come hai fatto? 
Prima di rientrare in Italia dall’Erasmus (durante l’ultimo anno di Università) e in procinto di discutere la tesi, decisa a ritornare in Francia costi quel che costi perché avevo conosciuto il mio futuro marito (ma allora non lo immaginavo ancora!!), avevo lasciato il mio curriculum al responsabile del dipartimento di Italianistica, conosciuto durante il mio soggiorno. 


Sono stata convocata per un colloquio qualche mese dopo, ma non fui presa. I contratti dei lettori sono, di solito, bi-annuali e, infatti, due anni dopo, mi fecero sapere che il posto era di nuovo vacante. Nuovo colloquio che andò, questa volta, bene. Sono poi passata su un posto di ATER (attaché d’enseignement et de recherche) riservato ai dottorandi (mi ero, infatti, nel frattempo iscritta in dottorato il cui accesso è libero, senza concorso, ma senza borsa), una grandissima opportunità, chiaramente per una neolaureata.

Quali sono le differenze principali tra l’Università italiana e quella francese? Il rapporto tra docenti e studenti, la vivacità intellettuale… a grandi linee naturalmente. 
Da quel che ho visto, i dipartimenti di Italianistica sono di solito molto piccoli: pochi insegnanti e pochi studenti. Questo facilita di sicuro l’instaurarsi di un rapporto più informale. Inoltre, è una pratica comune affidare ai dottorandi dei corsi, cosa che in Italia non succederebbe mai. Risultato: il corpo docente è spesso giovane, con tutti i pro e i contro della cosa. Molta dinamicità, certo, ma non sempre una solida esperienza... Però io mi baso su quello che ho vissuto in un piccolo dipartimento, so che in metropoli come Parigi o in facoltà come giurisprudenza il clima non è diverso dalle università italiane, più rigide e formali.

"No, non credo assolutamente che la scuola francese sia migliore di quella italiana."



Ora sei insegnante di ruolo nella scuola media inferiore (e superiore) a Tolosa. So bene, avendo due figli al collège, che con questa domanda rischio di mettere il dito sulla piaga, ma te lo chiedo proprio a bruciapelo: la scuola francese è davvero migliore di quella italiana? 
No, non credo assolutamente che la scuola francese sia migliore di quella italiana. È perfetta per una forma mentis francese, perché da lì nasce, e per una insegnante formatasi in Italia non è sempre facile adattarsi. Io faccio spesso buon viso a cattiva sorta e non è facile. Cosa ne penso sinceramente? La trovo poco incline a sviluppare l’autonomia, a far parlare liberamente i ragazzi e, francamente, non riesco ad abituarmi a fare lezione il pomeriggio. 


Come insegnante di una seconda lingua, mi trovo spesso in orari difficili da gestire (la fase post-prandium oppure pre-aperitivo, dalle cinque alle sei!), dove io stessa farei volentieri la siesta. Ho sviluppato doti da animatrice Club Med, clown, addomesticatrice di tigri e non ho ancora capito come spiegare certe regole di grammatica quando il cervello dei ragazzi è chiaramente fuori uso. Non mi pare che sia molto utile. Della scuola francese, mi piacciono però tutte le iniziative che possono essere proposte, in particolare attorno al CDI, come i club di lettura, gli incontri con gli autori, la radio degli studenti.... Certo, per gli insegnanti è una bella faticaccia, ma può essere una vera soddisfazione! 


Infine, una domanda a carattere pratico: puoi dirci come fare per diventare insegnante nella scuola pubblica francese? Ci racconti la tua esperienza? 
Dunque, esistono due concorsi per diventare insegnante nella scuola secondaria: Il CAPES e l’Agrégation. Chiunque sia in possesso di una laurea quinquennale (in qualsiasi materia) può iscriversi agli scritti, che si svolgono una volta all’anno, di solito fra marzo e aprile (è possibile tentare il concorso en interne, per chi ha già lavorato nel pubblico almeno cinque anni, ma questa è un’altra storia!). 

"La trovo poco incline a sviluppare l’autonomia, a far parlare liberamente i ragazzi e, francamente, non riesco ad abituarmi a fare lezione il pomeriggio."
Sul sito eduscol, si trova una descrizione dettagliata delle prove, caldamente consigliata a chi voglia tentare l’avventura. Se si passano gli scritti, si diviene admissible e si devono preparare gli orali, previsti di solito due mesi dopo. Il percorso è però stato recentemente modificato: sono previsti dei corsi di preparazione, in didattica e pedagogia, all’ESPE, qualcosa di simile alle nostre vecchie SSIS. Io però ho ottenuto il CAPES l’anno prima di questa riforma e non so bene come funzioni l’ESPE. 

Una volta superato l’orale e ottenuta l’admission, ci attende un anno di prova (di stage) con ulteriori corsi di formazione, un tutor che viene assistere in classe alle vostre lezioni e, dulcis in fundo, la visita di un inspecteur a cui spetta l’ultima parola: se siete adatti o no a questo mestiere. L’anno di stage è tutt’altro che una passeggiata! A complicare le cose, il fatto che si ottiene una assegnazione provvisoria in una académie (più o meno corrisponde a una regione) e quella definitiva, solo in seguito alla titolarizzazione

Per i giovani insegnanti, senza famiglia o figli, questo significa tutta una serie di traslochi, da una regione all’altra, ma anche per le persone sposate o "pacsate", non è sempre sicuro di rimanere là dove si vive. Secondo me, è una cosa da tenere seriamente in conto se si vuole tentare questa strada. Io ridacchiavo quando mi davano questo consiglio, pensando che non mi sarebbe mai successo, invece sì e, da mamma di una quasi dueenne, non è per niente facile!
Grazie Viviana per averci raccontato la tua storia e buon lavoro!


 *abbiamo cambiato il nome, per motivi di riservatezza e su richiesta dell'intervistata.

immagini prese da Internet

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